Nuovo blocco di GMail?

Proprio in queste ore stiamo riscontrando alcuni problemi con alcuni nostri account GMail, mentre su altri funziona tutto regolarmente.

Questa la schermata che ci si è presentata pochi minuti fa:

Andando negli strumenti di Google Chrome, il profilo pare avere qualche problema:

E come succede sempre, cliccando su maggiori informazioni…

Motherboard fritta e sostituzione rapida

Black Friday

Venerdì scorso il PC desktop che uso per programmare ha deciso, in seguito ad un fulmine, di friggere e spegnersi. Cose che capitano, ma la cosa molto strana è che, nonostante un gruppo di continuità ed un alimentatore OCZ da 1250w, l’unica cosa a friggere sia stata la scheda madre, una Asus P6T Deluxe Palm Edition.

E’ una scheda che ha sempre fatto il suo lavoro, anche se ultimamente mi ha dato da pensare che non fosse il massimo dell’ingegneria: sia la mia che quella di mio padre, identiche e comperate assieme, hanno sempre dato qualche piccolo difetto.

Appurato che fosse la MB a partire, il problema nasceva dal fatto che, essendo datata, trovarne una uguale era realmente un problema: le poche schede nuove avevano un costo veramente fuori dal mondo, più di 395£ + spedizione dall’UK. Una soluzione non percorribile.

Abbandonata l’idea di trovarne una uguale, mi sono fatto convincere da un amico sistemista di prenderne una con il medesimo socket 1366 per provare a sostituirla a caldo: devo ammettere che avevo forti dubbi sulle possibilità che tutto andasse bene, ma la mia esperienza in fatto di sistemi è molto limitata, quindi ho preso per buono quanto consigliatomi.

Una nuova scheda madre: Asus Sabertooth X58

La nuova scheda è una Asus Sabertooth X58, veramente una gran bella scheda, potente, completa e dal costo contenuto, circa 220€ ivata.

Dopo aver smontato tutto e assemblato tutti i componenti, collegati i 4 dischi SATA, il masterizzatore SATA, ho fatto che eliminare una periferica IDE inutile e montato il processore i7 920 oltre ai 24gb di RAM.

Accendo il PC e … niente. Il nulla cosmico.
Entro nel BIOS e noto che il mio disco C non è elencato tra i dischi di boot. Il problema, forse, nasce dal fatto di averlo collegato in prima istanza sul canale SATA 6gb/s: probabilmente è un problema di incompatibilità, ma non ho avuto abbastanza tempo per fare le prove del caso.

Spostando il cavo SATA del disco primario sul canale standard 3gb/s, tutto è tornato normale: il disco è presente nell’elenco degli hard disk di boot.

Una volta corretto il boot list, il sistema sale e, come d’incanto, Windows mi chiede se voglio uno start normale o in modalità provvisoria. Quasi un miraggio. Evitare di installare di nuovo da zero Windows, tutti gli applicativi, la Suite Adobe, l’infrastruttura virtuale: sapete bene cosa significhi non dover scaricare giga di dati da internet per una installazione, per non parlare delle configurazioni custom perse.

Lo faccio partire in modalità provvisoria, Windows non chiede di essere attivato, la suite di Adobe non riconosce il mio account di Creative Cloud e il sistema parte con l’installazione di una serie di driver standard. Vanno tutti a buon fine, tranne quelli Marvell e i driver video: inserisco il DVD della scheda madre, installo i driver mancanti. Riavvio.

Un sogno. Funziona praticamente tutto alla perfezione.
Mi è bastato scaricare ed installare i driver NVidia aggiornati per le mie due GT260 in SLI e il sistema mi configura nuovamente i monitor riportando il mio sistema completo allo status quo pre-frittura mista di condensatori di scheda madre.

Ora il sistema è stabile, più veloce di circa il 20% e mi ritrovo con l’USB3 nativo on board e il supporto per nuovi processori. La Adobe Creative Suite mi chiede l’Adobe ID e mi conferma la correttezza e lancia correttamente gli applicativi.

La morale è: se avete una scheda simile alla Asus P6T e dovete gioco forza cambiarla, forse la mia esperienza può tornarvi utile.

IE contro Chrome: Google sta vincendo la battaglia?

Modernità o Status quo


La battaglia dei browsers sta avendo un chiaro vincitore, stando alle statistiche che potete trovare facilmente su StatCounter qui.

Chiunque abbia mai giocato, lavorato, smanettato o studiato HTML, CSS3 e compagnia bella, non può non aver maledetto la mediocrità di IE, almeno fino alla versione 9 compresa. La verità è che, però, è sempre stato necessario fare i conti con la E blu e così sarà ancora per un lungo periodo.

Prendiamo con le molle il risultato di queste statistiche, il metodo di reperimento dei valori dipende da troppi fattori. E’ altresì vero che se i dati non sono troppo attendibili sia all’inizio che alla fine, danno comunque un indicazione interessante sull’affezione degli utenti verso una o l’altra soluzione. Se prima IE era sinonimo di “andare su internet”, ora il trend sta, finalmente, cambiando.

Certamente il fatto che Windows sia stata obbligata ad inserire la scelta del browser può aver indebolito IE, ma la verità è che la maggior parte degli utenti di livello “basso”, ossia coloro che hanno poca familiarità con le dinamiche informatiche, utilizza normalmente IE e ignora l’esistenza di altri browser alternativi, più veloci e, cosa non da poco, decisamente più sicuri.

L’obbligo di usare un vecchio sistema

Chi come me lavora anche con la PA sa benissimo che vengono quotidianamente utilizzati browser come IE 6 e 7, che sono in parole povere un baco con delle toppe, e che la colpa non è solo degli utenti finali, come si può erroneamente pensare: provate voi a collegarvi ai principali siti governativi con Firefox o Safari, oppure ad effettuare operazioni bancarie con Google Chrome sui vari portali bancari.
Una semplice operazione da pochi secondi può trasformarsi in un’odissea di Denied Request, Page not found o Session Timeout.

La verità è che nessuno di noi tifa per qualche browser in particolare, la speranza comune è che la concorrenza porti tutti a sviluppare browser sempre più stabili, più sicuri e innovativi, magari con un occhio un po’ più dedicato alla leggerezza del pacchetto di installazione: vero Google?

Manipolare i propri sogni con una app come in Inception. Che ne pensate?

Un certo Daniel Nadler, studente alla Harvard University, sta cercando di portare la realtà immaginata in un film veramente surreale, Inception, nella vita di tutti i giorni, e più precisamente in un app per iPhone.

Una app che elabora ed influenza i sogni non può che chiamarsi Sigmund [link].
Quello che c’è dietro questa app è qualcosa di particolare: dopo aver selezionato da una a cinque parole chiave da una lista di 1000 keywords ( in inglese, che vi credevate…), una suadente voce femminile ve le ripeterà  durante la fase più profonda del vostro sonno, quello REM, dove pare risiedano i sogni più vivi e coinvolgenti.

Secondo uno studio condotto dietro l’utilizzo di questa app, pare che un 40% del campione abbia affermato di essere stato suggestionato.
Il 23enne Nadler ha affermato che quello che succede in un cervello addormentato non può essere ricordato completamente, quindi la percentuale può essere ancora più alta.

Il bello della app è che non è necessario andare a dormire già con il suono della voce, ma semplicemente si comunica al software quale sia l’orario in cui ci si è coricati e lei fa il resto. Bella forza, pensare di andare a dormire con una voce robotica inglese che mi parla nelle orecchie non è che mi ispiri molta fiducia.

Nella lista delle parole chiave della app ci sono parole come “montagna“, “anaconda“, “panda“: tutti riferimenti a possibili soggetti di un sogno più o meno piacevole, pauroso o rilassante. Ci sono anche parole più osè come sesso, harem, battaglia e esercito.
Speriamo che non ci siano bachi di sistema che portano a sognare binomi come anaconda e sesso assieme: il risultato potrebbe essere … pericoloso.

Immaginate se un vostro amico usasse questa app: non sarebbe male inserirgli per scherzo la parola IMU e testare il giorno dopo l’umore generale. Non vedete l’ora, vero?

Applicazioni degne di nota: Evernote

Qualche tempo fa cercavo un’applicazione che mi desse la possibilità di sopperire alla mia mostruosa incapacità di ricordarmi le cose. Partendo dal presupposto che ho un iPhone, un iPad e qualche PC sparso, qua e la, in giro tra casa e ufficio, la cosa migliore sarebbe stata quella di avere una app sincrona su tutti i device.

Dopo aver provato varie applicazioni, più o meno degne di nota, mi sono imbattuto su Evernote, applicazione sviluppata dalla omonima ditta di stanza, guarda caso, a Mountain View, California.

L’applicazione su Windows è stabile e veloce e, cosa piuttosto importante e non sempre scontata, funziona sempre. A differenza di Wunderlist, web app tedesca che spesso e volentieri è down a causa di un Hosting piuttosto instabile, Evernote fa della semplicità il suo punto forte. E lo fa bene.

Quale è il vantaggio primario? L’avere una nota, una frase, un prezzo, sempre a disposizione, su qualsiasi device, a prescindere che l’abbiate inserito con l’iPhone, con un dispositivo Android o da un Mac Book Pro.

Quindi, qualsiasi piattaforma utilizziate, Evernote copre le vostre esigenze di fermare la vostra idea, il vostro appunto, nero su bianco. Non è cosa da poco.

Potete anche creare taccuini sincronizzati con un altro utente Evernote, potendo condividerne le note all’interno con il vostro eventuale team, e ricercare all’interno di tutte le note inserite attraverso l’uso di un comunissimo tag.

Un’altra funzione piuttosto carina è quella di poter integrare in Google Chrome un piccolo tool per ritagliare articoli dal web ed inserirli in una note, sempre a disposizione. Il modo migliore per non perdersi mai nel mare delle informazioni utili.

La notizia dell’ultim’ora è che Evernote ha conseguito il premio come miglior applicazione nella categoria Utilities & Services ai Webby Awards 2012, sia come Webby che come People’s Voice.

Potete seguire Evernote anche su Twitter qui.